Si era già parlato, in precedenza, della proposta depositata nel novembre del 2024 dalla Commissione d’Ippolito, costituita a distanza di 6 anni dall’entrata in vigore della Legge n. 24/2017 c.d. Legge Gelli-Bianco, per studiare e approfondire le problematiche relative alla colpa professionale medica.
Su questa scorta, lo scorso 4 di settembre, è stato approvato, in seno al Consiglio dei Ministri, lo schema di disegno di legge delega che, se approvato anche in sede parlamentare, andrà a integrare e modificare, parzialmente, alcune norme della Legge Gelli Bianco, introducendo alcuni correttivi in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, sia in ambito penale, sia in ambito civile.
Per quanto concerne gli aspetti penali, il testo approvato di recente propone una modifica alla norma che attualmente regolamenta la responsabilità penale colposa di tutti i sanitari (art. 590-sexies c.p.) e che prevede l’applicazione di una esimente alla punibilità degli esercenti la professione sanitaria nel caso in cui cagionino lesioni personali colpose o addirittura il decesso del paziente, per imperizia lieve, qualora dimostrino di essersi attenuti alle linee guida emanate e pubblicate ai sensi di legge o, in mancanza, alle buone pratiche clinico assistenziali, adeguate alla specificità del caso concreto.
Nella formulazione proposta dal DDL, tale esimente verrà estesa anche agli altri due elementi della colpa specifica, ossia all’imprudenza e alla negligenza. In tal senso quindi, in ambito penale i sanitari risponderanno solo per colpa grave.
Ai fini dell’applicabilità dell’esimente in questione, viene confermato l’onere di attenersi alla letteratura scientifica, valutata l’adeguatezza alla specificità del caso concreto; nello schema di DDL in esame, viene però eliminato il vincolo di subordinazione ora presente tra le buone pratiche clinico-assistenziali e le linee guida emanate ai sensi di legge; ne viene quindi equiparata la portata.
Per quanto concerne l’accertamento della colpa e del suo grado, il DDL introduce un elenco di fattori di cui il giudice dovrà tener conto, sia in ambito penale (con un nuovo articolo – l’art. 590-septies), sia in ambito civile (con il nuovo comma 3 bis dell’art. 7 della Legge 24/2017).
In particolare, per escludere la responsabilità dei sanitari o per escluderne la colpa grave, incideranno:
- la scarsità delle risorse umane e materiali disponibili;
- le eventuali carenze organizzative, quando tali condizioni non siano evitabili da parte dell’esercente l’attività sanitaria;
- la mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche sulla patologia o sulla terapia;
- la concreta disponibilità di terapie adeguate;
- la complessità della patologia o la concreta difficoltà dell’attività sanitaria;
- lo specifico ruolo svolto in caso di cooperazione multidisciplinare;
- la presenza di situazioni di urgenza o emergenza.
La proposta sembra quindi allinearsi a quanto, già da tempo, affermato a livello giurisprudenziale, riguardo all’importanza delle circostanze specifiche in cui il medico si trova ad operare, ai fini della valutazione della sua condotta. Per i giudici, non basta accertare la violazione della regola cautelare attesa, ma occorre altresì accertare che la violazione sia stata colposa: deve cioè darsi massimo spazio alla realtà dell’autore fisico e alle condizioni concrete nelle quali si è materializzato il fatto, sia con riguardo alle caratteristiche specifiche dell’agente modello (Cass. pen. 15258/2020).
Anche la giurisprudenza ha quindi definito gli elementi da valutare per determinare la colpa e il suo grado, ai fini del rimprovero da muovere all’agente. In particolare:
- la gravità della violazione della regola cautelare;
- la misura della prevedibilità ed evitabilità dell’evento;
- la condizione personale dell’agente;
- il possesso di qualità personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa;
- le motivazioni della condotta.
Nell’ottica di una valutazione complessiva si dovranno valutare anche altri fattori quali l’accuratezza nell’effettuazione del gesto medico, le eventuali ragioni di urgenza, l’oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data e così di seguito, al fine di esprimere la conclusiva valutazione sul grado della colpa, ponendo in bilanciamento fattori anche di segno contrario, che ben possono coesistere nell’ambito della fattispecie esaminata, non dissimilmente da quanto avviene in tema di concorso di circostanze (Sez. 4, n. 22281 del 15/04/2014).
Nel caso in cui coesistano fattori differenti e di segno contrario, il giudice deve valutarli comparativamente, ponderando le difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi, tenendo conto che le condotte che si esaminano non sono accadute in un laboratorio sotto una campana di vetro e vanno quindi analizzate tenendo conto del contesto in cui si sono manifestate.
In concreto, devono essere apprezzate e ‘misurate’ le contingenze in cui si sia in presenza di difficoltà o novità tecnico-scientifiche; e … le contingenze nelle quali il medico si trova ad operare in emergenza e quindi in quella situazione intossicata dall’impellenza che, solitamente, rende quasi sempre difficili anche le cose facili. Difficoltà tecniche e concreto contesto operativo sono quindi le piattaforme fattuali che devono essere esplorate dal giudice perché possa essere espresso un giudizio sul grado della colpa (ma, occorrendo, anche sull’assenza di colpevolezza) che voglia sottrarsi al rischio di concretarsi in un mero esercizio retorico, indizio di insondabile arbitrio (Cass. pen. 15258/2020, conforme Cass. pen. 4391/2011).
Si fa notare che, per la Giurisprudenza, si può ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, quando cioè il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente; e quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia, anzi, determinato la negativa evoluzione della patologia (Così, Cass. pen. Sent. n. 16237 del 29/01/2013).
Questo, dunque, il perimetro di intervento dello schema di DDL.
Come detto, il testo approvato dal Consiglio dei Ministri dovrà proseguire l’iter di approvazione anche in sede parlamentare.
Da una prima analisi, emerge però chiaramente come, rispetto alle integrazioni proposte dalla Commissione d’Ippolito, il DDL in esame abbia apportato solo alcuni aggiustamenti all’attuale Legge Gelli-Bianco.
Sembrano infatti essersi persi i meccanismi di filtro all’azione penale, attraverso archiviazioni rapide in caso di denunce o querele pretestuose per reati insussistenti in ambito sanitario proposti, così da evitare accuse temerarie nei confronti dei sanitari da parte dei pazienti, ai soli fini di lucro. Parimenti, abbandonata sembrerebbe anche l’idea di applicare una sanzione civilistica, in sede di eventuale archiviazione, a carico del denunciante o querelante per la c.d. notizia di reato temeraria.
Sembrano, infine, essersi perse anche le disposizioni riguardanti la certificazione della competenza tecnico-scientifica, i conflitti di interesse e i ritardi nell’operato dei periti e consulenti iscritti agli albi dei Tribunali.
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