È credenza diffusa tra i sanitari che l’errore posto in essere da un collega nell’ambito della propria specializzazione o da un collega che ricopre un ruolo gerarchicamente superiore escluda tout court ogni tipo di responsabilità in capo agli altri sanitari intervenuti nel medesimo processo di cura e assistenza del paziente.
Tale convinzione nasce dall’idea che ogni sanitario debba rispondere per quanto di sua stretta competenza, non potendo rispondere per errori posti in essere da altri colleghi che siano specialisti nella disciplina interessata dal caso o che siano inquadrati in una posizione gerarchicamente superiore.
Si pensi quindi alle situazioni in cui la problematica del paziente debba essere indagata e approcciata a livello multidiciplinare, con l’intervento di diversi specialisti di branca oppure agli interventi in equipe, in cui siano coinvolti più sanitari, tra cui un primo operatore o un primario.
Se è pur vero che in questi casi sia applicabile il principio di affidamento, secondo cui «ciascuno dei sanitari intervenuti, sincronicamente o diacronicamente, risponde nei limiti del proprio operato potendo confidare sul fatto che gli altri sanitari intervenuti a loro volta operino nel rispetto delle leges artis», è altresì vero che tale principio, di per sé, non esclude che gli altri sanitari coinvolti debbano comunque operare in maniera perita, prudente e diligente (ex multis, Cassazione penale sez. IV, 20/04/2022, sent. n.32241).
Nell’ambito dei trattamenti sanitari, gli esercenti la professione sanitaria ricoprono infatti, nei confronti del paziente, una posizione di garanzia, che impone a ciascun sanitario di assolvere ad un obbligo di diligenza anche in relazione all'operato altrui.
Secondo la Giurisprudenza ormai costante, l’obbligo di diligenza discendente da tale posizione di garanzia non può ritenersi assolto semplicemente con la corretta esecuzione delle specifiche mansioni affidate al singolo medico.
Tale diligenza deve infatti estendersi anche al controllo sull'operato e sugli errori degli altri colleghi, in virtù delle conoscenze che il professionista medio deve avere.
Da tutto ciò discende quindi anche l’obbligo del singolo sanitario di manifestare il proprio dissenso nel caso in cui non sia d’accordo con l’operato di un collega, anche nell’ipotesi in cui lo stesso risulti sottoposto rispetto al collega di cui non condivide le scelte terapeutiche, diagnostiche o chirurgiche.
L’eventuale mancata segnalazione del proprio dissenso al collega ovvero l’omessa informazione al paziente di una posizione opposta al collega, comporta una responsabilità anche in capo al sanitario che non segnala.
Naturalmente, come precisato dai Giudici, l'onere di vigilare sull'operato altrui non può tradursi «in un obbligo generalizzato di continua raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione delle competenze degli altri medici» (vd. Cassazione penale, sez. IV, 26/10/2022, sent. n. 16094).
In tema di posizione di garanzia e di limiti della stessa, è intervenuta, di recente, la Suprema Corte penale, con la sentenza n. 7002 del 20/02/2025.
In primo luogo, la Cassazione ha chiarito che una posizione di garanzia opera qualora l'agente assuma in concreto la gestione dei rischi connessi all'attività assunta.
Ha quindi precisato che perché possa affermarsi un onere di questo tipo, occorrono i seguenti elementi:
- un bene giuridico che necessiti di protezione, come nel caso della salute;
- una fonte giuridica, anche negoziale, che abbia la finalità di tutelarlo;
- una o più persone specificamente individuate su cui tale obbligo deve gravare;
- tali persone devono essere dotate dei poteri atti a impedire la lesione del bene garantito.
In concreto, la posizione di garanzia è caratterizzata dalla relazione intercorrente tra uno o più titolari di beni giuridici, non in grado di tutelarli e categorie predeterminate di soggetti cui una fonte giuridica assegni poteri per l'impedimento degli eventi offensivi di tali beni.
Nell’ambito sanitario, il titolare del bene giuridico da tutelare, ossia la salute, è il paziente, mentre i sanitari sono i soggetti a cui la legge assegna l’onere di impedire che tale bene venga pregiudicato.
Naturalmente, per poter riconoscere una posizione di garanzia si dovrà valutare, caso per caso, la fonte giuridica che attribuisce tali poteri/oneri a ciascun esercente.
Nel caso, ad esempio, della pronuncia in esame, la Cassazione ha escluso che il tecnico di radiologia, in quanto sanitario non medico, debba rispondere della mancata diagnosi o mancata tempestiva refertazione spettante al radiologo, in virtù della norma di riferimento (legge 31 gennaio 1983, n. 25 e legge 10 agosto 2000 n. 251 e D.Lgs. n.187/2000).
In altri casi trattati dai giudici, è stata invece affermata la co-responsabilità del medico chirurgo, per l’ipotesi di errata conta delle garze da parte degli infermieri durante un intervento chirurgico addominale.
Con sentenza n. 392/2022, la Cassazione Penale ha infatti evidenziato come sia onere del chirurgo assicurarsi con certezza dell'assenza di ritenzione interna al sito chirurgico di garze o strumenti, prima di procedere alla sua chiusura.
Tale onere, secondo i Giudici, non si riduce a un mero controllo formale dell'operato altrui, «ma attiene ad un dovere proprio del chirurgo di evitare il prodursi di un evento avverso connesso alla ritenzione di materiale nel corpo del paziente, derivante dalla posizione di garanzia che egli assume con l'atto operatorio».
L’obbligo di diligenza imposto a tutti i componenti dell'équipe operatoria nel corso di un intervento non è altro che il riflesso della prevedibilità ed evitabilità delle conseguenze dannose di un errore di un singolo. Per questo, nel quadro della collaborazione continua fra componenti dell'équipe spicca il ruolo del soggetto che la coordina e che assume il compito di guida del lavoro collettivo, al quale compete sempre non solo il dovere di dirigere l'azione operatoria e di fare convergere verso il fine per il quale viene intrapresa, ma quello di costante e diligente vigilanza sul progredire dell'operazione e dei rischi ad essa connessi.
Da qui discende, appunto, la posizione di garanzia dei singoli, che si sostanzia nella ripartizione del lavoro di controllo tra membri dell'équipe, proprio al fine di garantire sicurezza ulteriore al paziente, integrando (non sostituendo) il dovere di diligenza di colui che è tenuto a coordinare il gruppo e a vigilare su ciascuna delle attività che i membri dell'équipe pongono in essere.
Non è infatti prospettabile una segmentazione degli interventi tra le diverse competenze, non essendo applicabile il principio di affidamento nei confronti del capo equipe (Così, Cass. pen. Sez. 4, Sent. n. 33329 del 05/0512015).
Lo stesso vale anche per i singoli sanitari che abbiano cooperato, a distanza, nella definizione di una diagnosi, ciascuno per le proprie competenze.
Caso emblematico in tal senso quello trattato dalla sentenza della Cassazione penale n. 13542/2018, in cui il paziente si era recato, su suggerimento del MMG, sia dallo specialista pneumologo, sia dal cardiologo, per indagare la natura dei forti dolori al petto associati a tosse persistente.
All’esito dei tre gradi di giudizio, lo specialista pneumologo è stato condannato per omicidio colposo, per aver erroneamente diagnosticato al paziente una tracheite, poi deceduto per dissecazione aortica, senza visionare le immagini della rx toracica, limitandosi dunque all’ambito di sua stretta competenza, adducendo che, da lì a poco, il paziente avrebbe effettuato una visita anche da un cardiologo, unico competente nella branca di riferimento.
Anche in questo caso, la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità del principio di affidamento: in quanto medico, lo specialista pneumologo detiene infatti una posizione di garanzia, per intero, che non lo assolve dalla responsabilità di aver violato le regole precauzionali, confidando nell’operato di altri colleghi.
Su queste basi, appare dunque chiaro che ogni sanitario debba sempre operare in maniera diligente, a prescindere da quanto facciano gli ulteriori sanitari coinvolti; unico limite in tal senso, la preparazione e le competenze.
Qualora infatti il sanitario decida di assumere un compito, senza imprudentemente munirsi di tutti i dati tecnici necessari e delle competenze per dominare quel compito incorrerà nella c.d. colpa per assunzione. Esempio tra tutti, il medico specializzando che non rifiuti compiti che non ritiene in grado di compiere (si veda, Cass. penale, Sez. 4, sent. n. 6215/2010).
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